BOLOGNA – ITALY

01/05/2015
Mushroom no.81 has been abandoned in Via Carro, ghetto ebraico zona universitaria BOLOGNA

NO. 81

MUSHROOM

1 Comment

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Yalo
May 4, 2015 at 20:25

Ciao Manuel! Ti posto qui il mio pezzo sul ritrovamento del tuo bellissimo ottantunesimo fungo. Grazie ancora per il bellissimo lavo che porti avanti, hai tutto il mio appoggio e tutta la mia stima! 🙂
-Yalo-

ABUSIVE MUSHROOM
Cammino decisa lungo via Oberdan, lo zaino che ormai mi accompagna da un anno e mezzo mi pesa sulle spalle, stracolmo della mia vita come sempre. Non so cosa le dirò una volta che l’avrò poggiato sul pavimento della sua camera come nulla fosse… Cerco di non pensarci e vado avanti lungo la via illuminata da quelle tipiche luci calde che tingono di arancione le pareti rosse e i portici di questa città. Avanzo, un piede innanzi all’altro, in fretta. Mi lascio guidare dalle mie gambe, loro sanno dove andare. Conosco questa città come le mie tasche. Non che ci voglia molto, in effetti, malgrado la facciata cosmopolita e metropolitana rimane l’antico borgo che era, non c’è molto altro da vedere fuori dalle mura. Questo è uno degli aspetti che mi infastidiscono di più di Bologna, dopo un po’ che l’hai scoperta diventa in fretta la prassi e poi trovare un guizzo di entusiasmo risulta impossibile. Presto perdi il piacere spontaneo di voler scoprire cose nuove, tutto ti sembra stantio, monolitico, immutabile, già visto. Ma forse è solo perché sto crescendo, sono in quell’età in cui ormai lo stupore infantile lascia il posto all’esperienza adulta. Esperienza. Questo credo di avere mentre avanzo a passo serrato per svoltare nel ex-ghetto ebraico, per questo corro e non mi guardo attorno. Per questo sto concentrata su di me e non su ciò che viene dall’esterno, credo di non averne bisogno. Per questo la do spesso per scontata, dopo un anno e mezzo mi sono adagiata sulla sicurezza che lei mi dà. Ma non mi interrogo su tutte queste cose mentre attraverso ad ampie falcate lo stretto ciottolato di via dell’Inferno. Svolto sovrapensiero in via Valdonica, gli archi del portico disegnano strane linee sui muri, ogni colonna ha un capitello diverso e i muri sono costellati di scritte e tags qua e là, il portone verde del bistrot all’angolo riluce sotto la luna che enorme e argentata domina il cielo buio pece, privo di stelle. Ma io non mi accorgo di tutto ciò, avanzo decisa per la mia strada, la testa china e gli occhi bassi. Guarda un po’ i paradossi della vita: è proprio in questa ostinata chiusura in me stessa, in questo mio gesto di esclusione verso il mondo intero che posso scoprire qualcosa di nuovo. Infatti, è proprio guardando in basso che trovo finalmente qualcosa che riesce a distogliermi dai miei pensieri: una macchia di colore perlaceo, che risplende iridescente sotto la luce del lampione, attira il mio sguardo in mezzo al vorticare di rosso e nero che le fa da sfondo. È un quadro. Lo prendo in mano e lo osservo. È il quadro di un fungo dal cappello perlaceo, circondato da uno sfondo rosso e nero, impetuoso e materico, il colore steso con forza, quasi con violenza sulla tela, a formare dei solchi che evidenziano l’andamento delle pennellate. Il tutto con l’aggiunta di una schizzata di goccioline puntiformi di nero. Il colore riluce nei punti in rilievo, lo sfioro, mi piace la sensazione che dà al tatto: ruvido e liscio alternati come una trama alternativa scolpita sulla tela. Volto il quadro, c’è una lettera. Deve essere un regalo per chiunque l’avesse trovato, comprendo. Qualcuno ha deciso di regalarmi la sua arte, di farmela avere gratuitamente, perché possa beneficiarne anch’io. Ma la cosa che più mi stupisce è che persino una via che ho percorso così tante volte può nascondere, sul suo familiare pavimento rosso a macchie bianche e nere, qualcosa di nuovo, di insospettabile. Ed è stato qualcuno a regalarmi quell’attimo di entusiasmo inaspettato. Prendo il quadro e mi avvio nuovamente verso casa di lei, sbucando su via Zamboni non posso non pensare a cosa può aggiungere colore a un momento ordinario: io stavo andando a casa della mia ragazza e ho trovato un quadro, così, per caso. È bastato uscire di casa. Se mi mettessi un gioco sul serio, con entusiasmo, quante cose potrei ottenere? Mentre penso queste cose noto quanto via Zamboni sia colorata, popolata, vivace, come le persone sedute ai tavoli dei bar, dietro vasi da fiori a separarli dalla strada. Le bici sferragliano sul pavimento a lastroni di pietra e i palazzi antichi si stagliano maestosi a chiudere la scena, osservo le ombre proiettate dai lampioni sui loro muri, e un paio di stelle fioche sbucate in cielo. Eccomi, arrivo davanti al suo portone, occhi nuovi mi guidano.

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